martedì 5 febbraio e mercoledì 6 febbraio 2013 – ore 21
MACBETH
di William Shakespeare
traduzione Nadia Fusini
con Giuseppe Battiston, Frédérique Loliée, Ivan Alovisio, Marco Vergani, Riccardo Lombardo, Stefano Scandaletti, Valentina Diana, Gennaro Di Colandrea
regia Andrea De Rosa
spazio scenico Nicolas Bovey, Andrea De Rosa
costumi Fabio Sonnino
luci Pasquale Mari
suono Hubert Westkemper
produzione Fondazione Teatro Stabile di Torino / Teatro Stabile del Veneto
Ingresso euro 23 – 20 – 17,50 – (prevendita dal 5 novembre)
Il potere genera mostri, ci dice il Macbeth messo in scena da Andrea De Rosa. E ci insinua subito un dubbio, trasformato ben presto in certezza, sottolineando come i mostri siano in realtà le proiezioni delle nostre
pulsioni segrete, inconfessabili… è indubbio che non solo il protagonista ma anche i suoi compagni, dalla Lady sua moglie a Banquo, ai suoi nemici, è con la parte più segreta di se stessi che sono costretti a fare i conti… un interno in puro stile novecento con un ampio divano, un’abat-jour, una parete riflettente che separa il mondo intimo dei protagonisti da quello di fuori, dalle feste e dalla sbronze con le quali di lì a poco si festeggerà il ritorno del signore vittorioso dalla guerra. A riportare l’intera storia nella più nascosta interiorità ci pensano le tre streghe che gli faranno la profezia, che il generale si trova addirittura in casa: tre bambole inquietanti, vestite di nero, voce metallica registrata per dire cose incomprensibili, ma che in realtà portano alla luce ciò che non si osa dire: tu Macbeth sarai re, e tu Banquo sarai padre di re, scatenando risate agghiaccianti nei due, ma cominciando a «lavorare» da subito dentro di loro. Queste streghe bambole, così simili a dei neonati, vengono vissute dal protagonista e da sua moglie come i figli mai avuti… Sangue chiama sangue e pensieri di morte si susseguono a pensieri di morte, mentre Lady Macbeth partorisce bambini destinati a morire o feti di bambini mai nati fino alla sua fine violenta.
Lo spettacolo di De Rosa è, con qualche compiacimento, un crudele viaggio nel nero, senza speranza. Ma a rendere più forte l’inquietante e fatale cammino del protagonista verso l’annientamento di sé contribuisce non poco la notevole interpretazione di Giuseppe Battiston, un Macbeth giovane, impannucciato dentro un cappotto scuro, un Macbeth quasi infantile che gioca con la corona come gioca con la morte degli altri e sua, vittima innanzi tutto di se stesso, della sua mancanza di misura anche nel desiderio di gloria. Un’interpretazione straniata, in contropiede, matura… inquietante ma di notevole impatto la scena finale, con Macbeth ridotto infine a una maschera di sangue. Ma come sarà il futuro re, quel Malcolm indeciso che si interroga sussurrando il monologo più famoso del mondo, quello di Amleto?
Maria Grazia Gregori, L’Unità, 1/6/2012
La lettura registica di Andrea De Rosa di Macbeth di Shakespeare, nella bella traduzione di Nadia Fusini, sembra muoversi nell’abisso inesplorato, nell’oscurità della vita incosciente, in un tempo senza tempo dove l’oggi di costumi e arredi si incontra con lo ieri di coltelli e corone per far percepire e disvelare la capacità tutta umana di fare del male. Un salotto borghese, una festa, invitati; sul divano tre bambolotti che parlano con voce infantile, sono le streghe che raccontano i presagi a un Macbeth che li ascolta e li interroga con dolce mitezza. E i bambolotti sono un segno che percorre tutta la messinscena, sono feti di mostruosi desideri, sogni, aspirazioni partorite da Lady Macbeth, sono i figli dei nemici trucidati a freddo, sono le sanguinanti frasche degli alberi mefitici del bosco che si muove contro il re assassino.
Macbeth percorre la sua strada come la descrive Nietzsche «con regalità e assoluta assenza di ribalderia», c’è un tratto di tranquilla banalità nell’orgia di sangue che porterà il re verso una fine liberatoria e la Lady alla pazzia e alla morte. Ottima l’interpretazione di Giuseppe Battiston, un Macbeth in corsa sul suo sentiero nel sangue, sempre fanciullesco nelle sue crudeltà, mai retorico… L’accostare il dubbio del giovane futuro re Macduff ad Amleto è sopravvalutare il personaggio, ma nella intelligente lettura registica pone con forza la domanda esistenziale shakespeariana sulla natura dell’uomo.
Magda Poli, Corriere della Sera, 3/6/2012